IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  deliberando  in  camera  di
 Consiglio  in  merito  al  ricorso  avanzato  dal  procuratore  della
 Repubblica presso la pretura  circondariale  di  Bergamo  avverso  il
 provvedimento   del  pretore  di  Bergamo  -  sezione  distaccata  di
 Treviglio  -  che liquidava in data 15 febbraio 1995 n. 280 vacazioni
 in favore del perito, ing. Crippa Gianandrea.
    Il tribunale osserva: con ricorso depositato in data 25 marzo 1995
 il pubblico ministero presso  la  pretura  circondariale  di  Bergamo
 impugnava,  ai  sensi  dell'art.  11 della legge n. 319 dell'8 luglio
 1980, il decreto - emesso dal pretore di  Treviglio  il  15  febbraio
 1995  -  con  il  quale venivano liquidate alling. Crippa Gianandrea,
 nominato perito nel corso di un procedimento  penale,  duecentottanta
 vacazioni pari a L. 2.808.000.
    Il ricorrente prospettava la difettosita' dell'impugnata ordinanza
 del  pretore  in  relazione  all'art.  4 della legge n. 319/1980, che
 impone al giudice "il rigoroso riferimento al numero  delle  ore  che
 siano  strettamente  necessarie"  per l'espletamento della consulenza
 tecnica.  Nel  caso  in  esame  l'opponente  evidenziava  l'eccessivo
 importo  della  somma  liquidata  (relativa  a n. 280 vacazioni, pari
 cioe' ad "un'attivita' di otto ore al giorno per 70 giorni), ritenuta
 eccessiva in relazione al lavoro espletato dal consulente,  dovendosi
 rilevare  che  "i  rilievi  fondamentali  nel procedimento erano gia'
 stati  illustrati  con  analitica  e  sufficiente  relazione  tecnica
 dell'u.p.g. e dal p.i. dell'U.S.S.L. in data 25 agosto 1992".
    Infine,  il pubblico ministero - dopo avere quantificato il lavoro
 impiegato dal perito in un periodo non  "superiore  a  trenta  giorni
 lavorativi" - evidenziava che il giudice a quo aveva "fatto esclusivo
 riferimento  alle  vacazioni  e cioe' al numero delle ore di lavoro e
 non ha applicato l'art. 5 della legge 8 luglio 1980 n. 319".
    All'udienza camerale tenutasi in data 5 giugno  1995,  nessuno  e'
 comparso.
    Ritiene  il  Collegio  che  nel  caso  di specie l'interpretazione
 rigorosa della norma da applicare - art. 4 della legge 8 luglio 1980,
 n. 319 -  necessaria  in  quanto,  ai  sensi  dell'ultimo  comma  del
 predetto  articolo, il giudice e' tenuto a calcolare rigorosamente il
 numero  delle  vacazioni  con  riferimento  al   numero   delle   ore
 effettivamente    necessarie    per   l'espletamento   dell'incarico,
 comporterebbe l'accoglimento del ricorso del p.m.
    Esattamente viene infatti ritenuta inverosimile la circostanza che
 il perito abbia impiegato settanta  giorni  lavorativi  di  otto  ore
 ciascuno  per  l'espletamento  dell'incarico, sicche' il numero delle
 vacazioni liquidate risulta indubbiamente eccessivo.
    Tuttavia, anche il ragionamento seguito  dal  p.m.  nella  seconda
 parte  del  ricorso si appalesa incongruo, in quanto anche centoventi
 vacazioni - pari a trenta giorni lavorativi - appaiono  indubbiamente
 superiori a quelle effettivamente necessarie per lo svolgimento delle
 attivita'  demandate  al  perito,  il quale avrebbe dovuto dedicare a
 questo solo incarico un intero mese di attivita' lavorativa.
    Inoltre,  sebbene  l'attivita'  peritale  e'  stata  indubbiamente
 laboriosa,  la prestazione eseguita non e' stata neppure ritenuta dal
 Pretore di eccezionale importanza, con il conseguente aumento fino al
 doppio previsto dall'art. 5 della legge di cui si discute.
    Da tali considerazioni conseguirebbe la riforma del  provvedimento
 impugnato  con  la conseguente riduzione delle vacazioni liquidate al
 Crippa, il quale presumibilmente  avra'  impiegato,  nella  redazione
 della  perizia,  un  numero  di  vacazioni  sensibilmente inferiore a
 quello ritenuto dal Pretore ed anche prospettato dal p.m.  nella  sua
 impugnazione.
    Ritiene il tribunale, tuttavia, che tale interpretazione dell'art.
 4 della legge n. 319/1980, pur se rigorosamente attuativa della legge
 n.   319/1980,   si   ponga   in   contrasto   con   alcuni  principi
 costituzionali, quali l'art. 3 e l'art. 36 della Carta fondamentale.
    Ed infatti, con riferimento al primo parametro indicato, i  periti
 ed  i  consulenti  compensati  con  onorari  determinati in base alle
 vacazioni  si  trovano  in  una  condizione  deteriore  rispetto   ai
 professionisti  retribuiti  in base alle tabelle approvate con d.P.R.
 n. 820/1983, come sostituito dal d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352.
    Mentre infatti per questi ultimi  sono  stati  individuati  valori
 congrui  con  riguardo  all'opera  prestata, anche tenuto conto della
 svalutazione  monetaria,  i  primi  -  quelli  cioe'   compensati   a
 vacazioni,  ciascuna  delle  quali  rappresenta  due  ore di lavoro -
 vengono retribuiti con compensi (L. 18.000 per la prima  vacazione  e
 L.  10.000  per  le  successive,  con l'impossibilita' inoltre per il
 giudice di liquidare piu' di quattro vacazioni giornaliere) del tutto
 irrisori gia' all'atto dell'aumento attuato con d.P.R. 7 luglio 1988,
 n. 352 e non piu' adeguati ogni tre anni come previsto  dall'art.  10
 della legge n. 319/1980.
    Risulta  quanto  mai  evidente  la  disparita'  di trattamento tra
 soggetti tutti appartenenti alla categoria dei periti e consulenti, e
 di  conseguenza  tale  diversita'  si  appalesa  iniqua   sul   piano
 sostanziale  ed  irragionevole  dal  punto  di  vista  logico, attesa
 l'omogeneita'  delle  situazioni  personali   (quelle   di   soggetti
 svolgenti  un  ufficio  legalmente  dovuto),  non essendo sorretta da
 altra motivazione che non  sia  quella  dell'inerzia  legislativa  in
 merito.
    Quanto  detto introduce poi il discorso sulla violazione dell'art.
 36 Cost. in quanto i compensi  liquidabili  ai  periti  e  consulenti
 secondo  il  predetto  art.  4  sono del tutto irrisori rispetto alla
 quantita' e qualita' dell'opera prestata da professionisti, e  quindi
 in  pieno  contrasto con i principi di sufficienza e proporzionalita'
 della retribuzione rispetto al lavoro svolto.
    La considerazione che si tratta di un ufficio  legalmente  dovuto,
 non assimilabile pertanto ad un'attivita' lavorativa in senso proprio
 non   elimina   il   problema,  ove  si  osservi  che  le  indennita'
 costituiscono pur sempre  compensi  e  quindi  devono  effettivamente
 rappresentare  un  serio ristoro per i professionisti che prestano la
 loro opera per la  Giustizia,  i  quali,  tra  l'altro,  non  possono
 rifiutarsi di adempiere all'incarico (cfr. art. 366 c.p.).
    La questione di costituzionalita' cosi' prospettata e' rilevante e
 non e' manifestamente infondata.
    Quanto  al  primo  punto,  infatti,  la  decisione  sul ricorso al
 presentato dal p.m. avverso il decreto di liquidazione del pretore di
 Treviglio e' condizionata dalla risoluzione della questione in esame;
 infatti, questo giudice non ritiene di poter  interpretare  la  norma
 che   si  impugna  in  senso  conforme  a  Costituzione,  a  meno  di
 disattenderla completamente.
    La perizia eseguita dall'ing. Crippa, infatti, non  rientra  nelle
 tabelle  professionali  di  cui  si  e'  fatta menzione sopra, ne' e'
 attivita' analoga a quelle contemplate in esse.
    Ne',  per i motivi di cui si e' detto, risulta possibile liquidare
 al perito un  compenso  che  tenga  conto  delle  ore  effettivamente
 impiegate,  perche'  quest'ultimo sarebbe in contrasto con i principi
 in materia di sufficienza della retribuzione.
    In ordine, poi, alla non manifesta infondatezza  della  questione,
 osserva il Collegio che la Corte in materia analoga si e' pronunciata
 nel   senso   della  illegittimita'  costituzionale  della  normativa
 impugnata (sentenza n. 230 del 21 aprile 1989, con  la  quale  si  e'
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge 13
 luglio 1965, n. 836 - aumento delle indennita' spettanti ai testimoni
 chiamati a deporre in materia civile e penale, ai consulenti tecnici,
 periti,   interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a
 richiesta dell'autorita' giudiziaria ed ai custodi in materia  penale
 -  nella  parte  in  cui  prevedeva  la  liquidazione dell'indennita'
 giornaliera dovuta ai custodi indicati negli artt. 102  e  103  della
 tariffa  penale, approvata (con r.d. 23 dicembre 1865, n. 2701, in L.
 300, e successive variazioni, anziche' con riferimento  alle  tariffe
 vigenti  ed  agli  usi  locali),  richiamandosi proprio ai menzionati
 principi   di   eguaglianza   sostanziale   e   di   sufficienza    e
 proporzionalita' della retribuzione.
    Ritiene,  per  tali motivi, il tribunale di sollevare questione di
 legittimita' costituzionale, non potendo il giudizio essere  definito
 indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione stessa e, per
 l'effetto, dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale e dichiara sospeso il giudizio in corso.